Senatrice Patty L’Abbate: Coltivatori di Emozioni, rete virtuosa per agricoltura, sostenibilità, economia e innovazione
In questo blog ci piace raccontare il nostro mondo ma anche confrontarci con chi condivide con noi un’idea di futuro in cui ci sia soprattutto rispetto: per le nostre radici, per la nostra terra, per i giovani e per la nostra Storia.
Noi di Coltivatori di Emozioni crediamo nelle piccole cose che hanno fatto grande l’Italia. Crediamo nelle piccole aziende agricole, nei piccoli agricoltori, nei piccoli apprezzamenti di terra, nei piccoli borghi. Da qui vogliamo veder ripartire il nostro Sistema Paese, coniugando le nostre ricchezze e le nostre tradizioni con la tecnologia e l’innovazione.
Lo vogliamo fare, specialmente oggi in cui ci sentiamo responsabilmente chiamati in causa dalla necessità di un cambio di passo nella gestione delle risorse paesaggistiche e ambientali.
Pensiamo infatti, che sostenibilità non sia una parola da utilizzare come intercalare; ‘sostenibilità’ deve essere un’azione collettiva che produca una nuova società, un nuovo stile di vita, un’opportunità per l’ambiente di riscattarsi da un passato recente di soprusi.
Oggi, Coltivatori di Emozioni per parlare di sostenibilità, di tradizioni, di innovazione ha incontrato la Senatrice Patti L’Abbate, capogruppo della 13ª Commissione permanente Territorio, Ambiente, Beni ambientali.
Relatrice del decreto Clima e prima firmataria di alcune mozioni sulla decarbonizzazione, emergenza climatica, la Senatrice ha partecipato come rappresentante del Senato della Repubblica ai Summit internazionali sul Climate Change.
Studiosa dalla “teoria della Bioeconomia” di Nicholas Georgescu Roegen e sostenitrice dell’approccio sistemico, Patty L’Abbate si è interessata in modo particolare di termodinamica dei flussi di materia e di energia, della costruzione di nuovi indicatori di benessere e dell’analisi di modelli di economia alternativa come l’economia circolare ed ecologica.
Dai primi giorni del suo insediamento in Parlamento, la Senatrice di origine pugliese, si è occupata della transizione da un’economia lineare ad una green e circolare. Un motivo in più per raccogliere il suo punto di vista sui temi che da sempre stanno a cuore a noi, Coltivatori di Emozioni e di Futuro: agricoltura, sostenibilità, piccoli borghi, economia circolare.
Prima di iniziare l’intervista chiediamo alla Senatrice Patty L’Abbate un’opinione su Coltivatori di Emozioni, prima piattaforma di social-farming italiana: “Coltivatori di Emozioni mi ha colpita perché si occupa di una tematica fondamentale: sottolinea ed esalta il valore della qualità delle produzioni agroalimentari. La qualità, insieme alla modalità del “come si facevano un tempo le cose”, rappresenta le nostre tradizioni, da non perdere, anzi da rivalutare. Coltivatori di Emozioni si presenta come una rete virtuosa che parla di agricoltura in termini innovativi. Unisce la saggezza del passato, dei nostri nonni, alle tecniche moderne innovative con l’obiettivo di ottenere un’agricoltura sostenibile in linea sicuramente con la missione due del Piano Nazionale di Ripesa e Resilienza.
D. Senatrice L’Abbate, partiamo proprio da tradizione e innovazione: sono antitetiche o complementari?
R. Le tradizioni da conservare e tutatale sono le radici, il resto dell’albero è innovazione, tecnologia green, creatività.
In questo momento è importante porre l’attenzione ad una nuova generazione di agricoltori. Ci rendiamo conto di quanti giovani abbandonano le campagne, i piccoli borghi e la pratica dell’agricoltura è lasciata ad una generazione che certo non utilizzerà internet o il digitale per migliorarla. Si ha quindi un forte disagio nella continuità delle pratiche agricole, e nel miglioramento delle stesse. La risorsa terra, e forse ce ne stiamo finalmente accorgendo, è un bene primario ed è indispensabile prendercene cura, noi in commissione ambiente abbiamo incardinato il ddl sul problema del consumo del suolo ed ora stiamo lavorando una proposta di legge sulla cura degli insetti impollinatori, fondamentali in agricoltura.
Nella Missione 2 della Transizione Ecologica del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e del Green New Deal viene rivisto il concetto di Natura, che possiamo definire 4.0.
Nel Green New Deal ritroviamo per esempio la formulazione di ‘from farm to fork’, ovvero ‘dall’azienda in campagna fino alla tavola’. Questo significa dare grande importanza al locale, perché sostenibilità significa rivalutare il locale, ridurre gli spechi di cibo in ogni fase della filiera agroalimentare.
Anche la ricaduta sui piccoli borghi che possono riprendere vita, è importante. I borghi, infatti, devono diventare degli incubatori di nuove forme di agricoltura innovativa, abbiamo bisogno che si moltiplichino i negozi che vendano a livello locale quello che è stato coltivato nei dintorni.
Nella Missione 2 del PNRR dove si parla appunto di Transizione Ecologica, sul punto dedicato all’agricoltura sostenibile è stata inserita la digitalizzazione. Quest’ultima è necessaria oggi come supporto di controllo alle fasi dell’agricoltura: la fase di seminazione, la fase di raccolta, la fase di stoccaggio, e poi ancora nel trasporto dell’alimento dalla campagna all’azienda trasformatrice. Dopo la trasformazione il prodotto giunge alla catena di distribuzione e infine sulle nostre tavole, ma il suo viaggio non è ancora finito perché dobbiamo porre attenzione anche a come verrà smaltito, recuperato o riciclato.
D. Agricoltura e rilancio dell’economia: quanto conta la variabile ‘sostenibilità’?
R. Parto dal significato di “sostenibilità”. Per sostenibilità si intende uno stato che deve essere mantenuto ad un certo livello in modo indefinito, e in ambito ambientale, sociale ed economico si indentifica con un approccio sistemico in cui il capitale naturale deve essere tutelato, al fine di far fronte ai bisogni delle generazioni presenti e future. Va quindi effettuato un cambiamento radicale del modello economico attuale di economia, un miglioramento che va attivato ponendo attenzione alle leggi della natura, alla termodinamica.
Sostenibilità deriva da sostenere; dobbiamo sostenere la nostra terra perché probabilmente fino ad oggi abbiamo effettuato delle azioni errate.
È chiaro che non abbiamo più tempo, dobbiamo virare verso la sostenibilità, ossia verso il sostegno del nostro pianeta, altrimenti noi non avremo un futuro.
Anche per il settore primario della nostra economia (agricoltura, allevamento e pesca) la sostenibilità non è più solo una chance ma una vera e propria responsabilità.
Anche in agricoltura non ci possiamo permettere più di fare scelte sbagliate.
Il nuovo modello economico ecologico deve considerare che il sistema economico è posto all’interno del sistema sociale che a sua volta è contenuto nell’ecosistema naturale. I tre sistemi sono collegati fra loro ed è necessario studiare e considerare le interazioni fra i tre. Porre cura alla gestione delle risorse naturali, e alla conservazione della qualità delle matrici ambientali: suolo, aria, acqua, quindi contrastare l’inquinamento e le emissioni di gas serra.
D. Il Regolamento UE sulla Tassonomia degli Investimenti indica, tra i vari punti, la prevenzione e il controllo dell’inquinamento e la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi. In Italia, le aziende agricole impegnate nella salvaguardia e nel recupero delle coltivazioni autoctone, hanno una guida o un sostegno dallo Stato?
R. A livello generale in Italia, attualmente, non c’è una reale legge sulla tutela delle coltivazioni autoctone. Ci sono però delle direttive e dei decreti che aiutano a creare una maggiore sensibilità in tal senso.
Prendiamo l’esempio delle monoculture: se nel nostro territorio continuiamo ad espiantare alberi da frutta autoctoni come, ad esempio, ciliegi, mandorli, ulivi, per sostituirli con della coltura di vino da tavola, ci troveremo a breve con dei seri problemi.
Il Regolamento della Tassonomia è stato posto proprio perché nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ci sia una scelta chiara nel portare avanti unicamente dei progetti di protezione della biodiversità e di salvaguardia degli ecosistemi. Il Regolamento contiene degli indicatori chiave, un metodo che viene utilizzato per valutare una serie di variabili atte a capire se un progetto, che deve avere un certo tipo di investimento, può andare avanti e procedere perché, appunto, non crei un danno di tipo ambientale. Sull’agricoltura e sulla biodiversità c’è sicuramente da effettuare un discorso a parte.
D. Quindi secondo lei l’impegno dovrebbe andare anche in questa direzione?
R. L’impegno ‘deve’ andare in quella direzione. Oggi la strategia sulla biodiversità prevista dall’Agenda ‘20-’30 non vede coinvolto tutto il territorio italiano ma solamente le aree protette. Su queste aree noi abbiamo una serie di attività particolari: tutela della biodiversità, tutela degli insetti impollinatori, monitoraggio delle zone. Ma non si può fare un discorso a macchia di leopardo in Italia. Il discorso deve interessare tutto il territorio italiano e non c’è ancora a mio avviso un qualcosa che tuteli il paesaggio e la biodiversità di tutto il territorio italiano per conservare anche quella che è la bellezza dei nostri luoghi. Occorre riflettere sul danno che ci causerebbe l’eliminazione di un certo tipo di coltivazioni, sia dal punto di vista paesaggistico che dal punto di vista agroalimentare.
D. Come sta cambiando il volto dell’Italia dopo la pandemia?
R. La pandemia ha risvegliato molte coscienze perché ci si è resi conto di quali sono le cose importanti, necessarie. Nei momenti critici il superfluo si elimina e percepisci quello che ti manca veramente. Quindi cosa è mancato nelle nostre città? Le città hanno sofferto maggiormente dell’isolamento, della mancanza di relazioni, allo stesso tempo anche della mancanza di spazi, della parte verde. Sicuramente i borghi e le campagne hanno iniziato ad acquisire un’importanza fondamentale. Ne abbiamo tanti di borghi, borghi bellissimi ognuno per le proprie particolarità, per la proprie identità storiche; ed è forse giunto il momento di ritornare a vivere questi nostri borghi.
E’ nei piccoli centri che avviene quel sodalizio fra i borghi e l’agricoltura. Per fortuna, molti giovani se ne stanno rendendo conto e puntano sull’agricoltura creando delle start-up innovative, con delle soluzioni anche digitali. Sarà questa la strategia da portare avanti fino al 2050, anno che abbiamo ormai preso di riferimento per giungere ad una neutralità nelle emissioni di CO2.
D: Nel suo libro lei indica gli strumenti per andare verso un futuro sostenibile ed equo ‘oltre il Covid-19 e il cambiamento climatico’ (“Una nuova economia ecologica oltre il Covid-19 e il cambiamento climatico”. Edizioni Ambiente); ci può indicare quali sono gli strumenti principali?
R: Questo libro nasce per essere di supporto a tutti coloro che vogliono capire cos’è realmente la transizione ecologica, riporta definizioni e metodi per attuare il cambiamento. Adatto per gli studenti di Economia che devono occuparsi di economia circolare è anche di supporto a professionisti e politici. È necessario cambiare l’attuale modello economico, valutare le interazioni fra i sistemi: sociale, ecologico ed economico. Un’economia che chiamiamo ecologica perchè semplicemente deve osservare le leggi della natura.
E quindi quali sono gli strumenti? Adottare una contabilità anche ambientale, cioè completa, ossia noi siamo sempre abituati a fare conti di denaro, ma oggi dobbiamo fare i conti anche con tutte le risorse che ci sono sul nostro pianeta che sono limitate, e fare i conti anche con l’energia perché sono due “capitali” di cui abbiamo bisogno per la nostra economia, per avere un futuro. Il nostro modo di produrre e consumare deve cambiare, dobbiamo analizzare i cicli di produzione, partendo dall’estrazione delle materie prime fino al fine vita, quando i prodotti non hanno più un valore d’uso e diventano rifiuti. In questo libro indico la strada a chi un domani vorrà diventare un green manager e calcolare gli impatti ambientali dei processi produttivi. Quindi insegno il metodo Life Cycle Thinking, e alcuni indicatori di circolarità molto semplici da applicare in azienda per produrre in modo ecosostenibile e nelle pubbliche amministrazioni per procedere con il Green Public Procurement.
Alla base di tutto c’è un metodo che si chiama Life Cycle Assessment ed è ben spiegato nel libro nella seconda parte, consigliata per gli addetti ai lavori.
Voglio farvi un esempio pratico, posso con questo metodo analizzare un ciclo di produzione ad esempio dei prodotti caseari, valutare gli impatti ambientali, cioè in quali processi produco più CO2 o ho spreco di energia o di materie prime, e in un secondo momento cerco di eliminare sprechi e emissioni inquinanti, cambio le tecnologie, etc.
D. Talvolta il cambiamento auspicato non si innesca perché ha dei costi alti che l’imprenditore non riesce a sostenere da solo. Cosa ne pensa?
R. All’interno del Piano d’azione di Ripresa e Resilienza, quando parliamo di agricoltura sostenibile ci sono una serie di azioni già prefissate ma, oltre alle azioni, occorrerà anche effettuare delle riforme. Perché se non ci saranno le riforme sarà difficile cambiare la modalità con cui incentivare un’agricoltura sostenibile.
Quando parliamo di energia, parliamo anche di biometano. Quando viene prodotto dall’azienda agricola che produce energia a partire dai propri scarti, il circuito è positivo, poiché l’azienda sta producendo la propria energia dai propri scarti. Chiaramente oltre all’energia, si sta provando ad utilizzare dei pesticidi molto più naturali.
Il legislatore deve cercare in tutti modi di agevolare questo passaggio. Un passaggio che deve essere per forza effettuato, altrimenti questa strategia di green new deal non avrebbe senso e sappiamo che l’obiettivo finale è quello di arrivare ai 17 goal di sviluppo sostenibile dell’agenda 20-30.
D. Coltivatori di emozioni è la prima piattaforma italiana di social farming, ovvero una piattaforma di agricoltura sociale che sostiene i piccoli agricoltori e supporta la filiera produttiva. Quanto è importante secondo lei l’iniziativa privata inserita nel percorso di transizione ecologica che il nostro paese sta affrontando?
R. L’iniziativa privata è necessaria quanto quella pubblica. Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza come nel piano di transizione ecologica si parla di investimenti anche di tipo privato. Le iniziative private sono alla base di questa trasformazione.
L’idea della piattaforma di Coltivatori di Emozioni è veramente ottima ed ha una valenza importante perché supporta i piccoli agricoltori italiani, i quali hanno modalità di coltivazione di vecchio stampo che è una cosa che non si deve assolutamente perdere.
Trovo interessante anche lo sguardo di attenzione verso i nostri borghi che ha Coltivatori di Emozioni. Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza vi è, infatti, proprio una sezione dedicata ai piccoli borghi chiamata “I borghi green”; in questa parte è spiegata l’importanza di rendere i borghi dei piccoli centri autonomi, anche dal punto di vista energetico in modo tale che questi piccoli borghi possano risplendere di luce propria.
Come è spiegato nel libro di Schumacher ‘Il piccolo è bello’, vanno rivisti gli standard attuali; vi è stato, ad esempio, un periodo nella nostra economia in cui siamo andati verso le grosse aziende, in cui si faceva economia di scala, ma poi si è visto che le piccole cose venivano trascurate e non si stava andando nella giusta direzione. Piccolo è bello, significa che tu hai un controllo più chiaro su quello che stai facendo e il risultato sarà di una qualità migliore.
Nello specifico, i piccoli centri urbani possono essere veramente rivalutati nella qualità. Oggi, di fatto, la chiave di volta in tutto ciò che dobbiamo fare, sarà la qualità e non più la quantità.